Vedere anche il vento - Racconto breve #8

febbraio 26, 2021

Non è la prima volta che, a partire da una canzone, trovo idee per un racconto, anzi (vedere più indietro anche i racconti "Le rane" e "La moda del lento"). Lo spunto, arrivato in questo caso da "Valvonauta" dei Verdena, dà però il via a un racconto completamente diverso. Lo lascio leggere, per chi ne avrà piacere.


Vedere anche il vento

Incontrai un viso, ma quel viso non lo vidi subito.

Anche lei incontrò un viso, ma quel viso non lo vide subito.

Ricordo, ero fermo sul molo, seduto su una panca di pietra dallo smalto scrostato, e assaporavo la brezza calda delle cinque del pomeriggio, in un aprile lontano nel tempo . Mi sospingeva alle spalle come fossi io stesso una goletta e non attraversasse solo quella della mia camicia.

Gli occhiali da sole e la camicia scura mi nascondevano dai rari passanti, come se per loro fossi solo un’ombra intenta a riposare. Mi chiedevo se non fosse proprio arrivato il momento, quello che rimandavo da tempo.

Proprio quel giorno, però, prima ancora che un viso, incontrai una voce e la sentii subito calda come altra brezza.

Voi siete quelli che possono rubare sguardi, non certo io. Io rubai una voce. Proveniva da una donna che si avvicinò alle mie spalle e disse ad alta voce: “Che magnifico spettacolo!”. Parlava a me?

“Già” convenni io senza voltarmi. “Il vento sulla pelle, i versi dei gabbiani e queste piccole increspature è come se dicessero stai tranquillo, non potrà mai accadere nulla di male”.

“Proprio così!” Disse lei. “E’ molto che è qui? Ci viene spesso?”

Era strano, che fosse così interessata a fare conversazione con me, come se non potesse che essere proprio così. Risposi: “Almeno ogni volta che cerco di immergermi in un paesaggio per far riposare l’anima. Ma dammi pure del tu”.

“Ti capisco”.

La sua voce arrivava dolce. Brezza calda. Come se capisse davvero.

“E’ come se tutta la quiete del mondo fosse concentrata proprio qui”.

Nemmeno a quelle parole mi girai, non ne avevo motivo, ma a un tratto sentii che volevo vederla. Non avevo visto molte persone, io, solo i miei genitori, due fratelli, una manciata di amici che conto sulle dita di una mano. Non avevo mai visto qualcuno che non conoscessi bene.

“Ti spiacerebbe, se ti sedessi un attimo qui accanto a me?”

Sentii il suo corpo prendere posto sulla panca di pietra. Percepii il suo sguardo su di me.

“Va tutto bene?” chiese.

“In questo momento, sì. Posso vederti?”

“Come, scusa?” fece lei sorpresa. Poi capii: “Ah, ma tu non...”

“Non porto questi occhiali per via dei raggi del sole”

“Mi spiace tanto”. Sentii una punta di dolore in quelle parole.

“Però, in un certo senso, ho il modo di vederti ugualmente”

Mi voltai verso di lei e misi le mani aperte all’altezza del viso, da dove proveniva la voce.

“Posso?”

Non sentii risposta, ma nemmeno andò via. Lo presi come un segno di assenso.

Le mie mani, sono i miei occhi. Cominciai dall’alto. Sentii i capelli, lisci e profumati, li percorsi tutti con i polpastrelli, le arrivavano fin poco oltre le spalle minute. Tornai su e cominciai dalla fronte, spaziosa, uniforme, forse sentii una piccola cicatrice fatta chissà come. Un’altra storia che non avrei mai saputo. Le sopracciglia molto delicate incorniciavano occhi grandi che si chiusero al passaggio delle mie dita. Il naso svettava tranquillo e gracile, le guance appena paffute mi portarono a orecchie piccole ben sagomate. Il momento più bello fu tornare dalle guance verso il mento, dove scoprii una piccola fossetta, e arrivai alla bocca. La attraversai col polpastrello da sinistra a destra, piano. Era regolare, morbida, perfettamente scolpita da uno scalpello sapiente. Nella mia mente si formò così, come un disegno, la mia immagine di lei. Fui poi io a dare colore ai suoi occhi, alla pelle, ai capelli, senza chiederle nient’altro.

A fatica me ne staccai e dissi soltanto: “Grazie”.

Avvertii un sorriso.

“Non ero preparata a questo”.

“Come in ogni cosa che ci capita. Non puoi restare, vero?”

“No, mi aspettano.” Disse lei.

“Vai allora, grazie per questi minuti”.

Sentii un bacio su una guancia.

“Non ero preparato a questo” le dissi.

“Come in ogni cosa.” disse “Ma portalo con te”.

La sentii alzarsi e andar via piano piano, forse facendo prima qualche passo all’indietro, come una marea in ritirata.

Sarebbe stato bello se quegli occhi fossero diventati la mia finestra sul mondo, perché esistono occhi da cui non puoi più salvarti, o almeno così ho sentito dire da uno di quei miei pochi amici. E io, in quegli occhi visti con le dita, mi ci sarei perso per sempre.

Siete fortunati, voi, a poter rubare sguardi. A poter incrociare vita. A comunicarvi, così, ogni emozione in un solo attimo. Io faccio più fatica, ma per fortuna, anche se raramente, qualcuno sa aspettare.

Dovetti riabituarmi subito all’assenza, al silenzio.

Pensai a lei, alla sua vita che non avrei più incrociato. Pensai a me, alla mia vista che non c’era. Ma quando mi aveva parlato, almeno per lei, non ero stato solo un povero cieco, come per tutti gli altri.

Così, canticchiai una canzone vecchia di almeno vent’anni.

E anche se non c'è miele / mi viene dolce / e penso sempre lo stesso / mi affogherei / io senza lei/ riesco appena a sentire/ che non ci sei/ e riesco appena a stupirmi/ va tutto bene/sto bene se non torni mai”.

Da quel giorno, non meditai più di lasciarmi andare nelle acque profonde di quel molo. Invece, ci tornavo solo per assaporare la brezza per due. Non sentivo più solo il suono del vento. Con lo sguardo che un giorno lei mi aveva donato, riuscivo a percepire anche le mani che lo suonavano, riuscivo a vedere anche il volto del vento, a guardarlo negli occhi.

© Fabio Mele 2021

Rilascio il racconto con licenza CC BY-ND 3.0 IT:
Sei libero di condividere — riprodurre, distribuire, comunicare al pubblico, esporre in pubblico, rappresentare, eseguire e recitare questo materiale con qualsiasi mezzo e formato per qualsiasi fine, con obbligo di menzione di paternità dell'opera a mezzo link e divieto di distribuire questo materiale modificato.






Di seguito, condivido anche la canzone.


Immagine 1:Foto di Michael Schwarzenberger da Pixabay. 

Immagine 2: Foto di S. Hermann & F. Richter da Pixabay.

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