Una lacrima nascosta - Racconto breve #7 - #UnaSuTre #MamaChat - Giornata Mondiale contro la violenza sulle donne

novembre 25, 2020


Da una ricerca svolta dal sito MamaChat specializzato nell'ascolto di donne vittime di violenza, risulta che una donna su tre vorrebbe dire basta alla violenza domestica, ma la stragrande maggioranza pensa che nessuno possa ascoltarle. Una su tre. La violenza non è soltanto fisica, può essere verbale e psicologica, può portare all'isolamento fisico e alla dipendenza economica, e non è meno grave.

Voglio sensibilizzare sul punto con questo racconto breve, ispirato dalla canzone "Franziska" di Fabrizio De André. Nessuna è sola, basta parlare.

Una lacrima nascosta


Franziska guardò l’orologio digitale. Le tre e trenta del mattino, ancora una volta. Da tempo ogni notte si risvegliava alle tre e trenta in punto: il sonno diventava una chimera irraggiungibile ed era come se qualcosa o qualcuno la chiamasse, ma non riusciva a spiegarsi cosa. Così, pensava. Era chiusa in casa da giorni. L'uomo che aveva scelto non c’era quasi mai. Raramente le parlava, raramente Franziska riusciva a capire cosa quella mente impenetrabile pensasse di lei. Quasi mai sembrava capirla. La vedeva, ma non la guardava veramente.Aveva un lavoro, tanto tempo prima. Aveva una vita, fatta di incontri, di progetti portati a termine con successo tra mille difficoltà, di nuove amicizie. Aveva perso tutto, per guadagnare una vita, un altro progetto, accanto all'uomo che pensava di amare. Non dava peso a tutti i suoi no. In fondo i caffè con le amiche non se li negava. Non dava peso a tutto il resto: stasera non posso, quindi non andare a quella festa senza di me; lascia quell’ufficio, ti basta il mio lavoro; non uscire con quel vestito, non voglio ti vedano così; a chi scrivi, non dovresti sentire nessun altro; ma che hobby è suonare, lascia perdere, non serve a niente; quest’idea di far la dj, ma pensa ai bambini; hai la famiglia e ti basta; posso risolvere io qualunque cosa. 
Li sentiva risuonare, rimbombare, uno per uno. In ogni “no”, sentiva spegnersi un pezzo di se stessa. In ogni suo “io”, soffocava. Quando succedeva metteva ogni paura nelle canzoni e le ascoltava quasi come se le sfogliasse lentamente, come si potrebbe fare con un libro, cercando di infondersi sicurezza. Tranquillità. Non c'era nulla che non andasse. Nulla di sbagliato. Oppure correva: correre le faceva sembrare che fosse tutto ok, che fosse più viva di quanto non riuscisse a sentirsi.
Una volta, quando aveva piccole gioie e speranze, Franziska gli regalò e si regalò una sorpresa: suonò con l'orchestra, sul palco del paese. Lo vide arrivare, e sperò di trovargli negli occhi la gioia e la fierezza di vederla lì. Ciò che vide però fu un viso rabbuiato, uno sguardo da rottweiler, fisso immobile, fisso su di lei. Come se stesse facendo qualcosa che mai avrebbe dovuto. Così, la fece sentire, e non lo fece più. Come già, tempo prima, aveva smesso di cantare nel gruppetto che aveva creato, con due amici e una vecchia compagna di scuola. Non cantava più, ormai. Per il quieto vivere, per non litigare oltre, per difendere due bambini e il loro futuro.
Era accaduto, anni addietro, di incontrare qualcuno a cui sembrava davvero importasse di lei. Riusciva a leggerle dentro senza dire una parola, a scorgerle tutta l'inquietudine come fosse un libro aperto. Così, avevano scambiato un sorriso. E, infine, una parola. E, all'improvviso e senza un motivo, lei si sentì realmente più viva, con due occhi sinceri e un come stai. Per un po', si sentirono. Fino al giorno in cui lui sbottò. Non fu bello, non comprese. Non è possibile che un’anima abbia bisogno di parlare con un’altra anima. Sempre, la persona materiale cresciuta nella società materiale lega tutto a un desiderio fisico.
«Lo hai capito, o no, che sei solo mia?». La guardò con occhi inflessibili, ancora più duri, che la fecero sentire male, come colpevole di aver cercato aria. E il respiro, il respiro mancava. E uno schiaffo le segnò la guancia, l’unico che le avesse mai dato, ma sufficiente a sancire quel possesso sulla pelle, a tracciare il solco come fosse un terreno di proprietà. E la notte faceva un po’ più paura, da quando decise di interrompere quel rapporto. Quieto vivere. Correre.

** 

Correre fa sentir vivi,
tu dici, 

io corro e scompaio 
corro e finisce 
la corsa nel vento
voglio soltanto 
un cielo e un asfalto 
un grido feroce 
mentre corro veloce.

“Corri Forrest” 
 e non penserai 
sempre fuggirai 
il pensiero di Jenny 
le bombe di ogni guerra 
e quelle che ha lasciato. 

**

Le tre e trenta sembravano essere nate per rimuginare tutto. 
Lui era fuori, per lavoro. Così, quella notte, in un improvviso e inaspettato atto di libertà, svegliò i bambini e prese l’auto. 
 «Dove andiamo, mamma?» chiese la più grande dall’alto dei suoi sei anni, sbadigliando. 
«Voglio mostrarvi una cosa bella, ora, perché non l’avete mai vista di notte» disse allacciando il fratellino di quattro anni sul sedile posteriore. 
«Ma dobbiamo dirlo a papà?» 
«E’ una cosa nostra, va bene?» disse guardando gli occhi della figlia a un centimetro. 
La sua bimba aveva due occhi sinceri, senza filtro. Così, un ricordo troppo lontano, si accese e fece male. Guidò in silenzio, per diversi chilometri, fino alla fine della terra. A quel punto, uscì all'aperto con i piccoli e guardò il mare dalla scogliera altissima, come faceva da ragazza. Strinse le mani dei due figli, uno a destra, l’altra a sinistra.
«Cosa ne dite?».
«È bellissimo, mamma!» rispose la più grande. 
«Sono solo sua» sussurrò posando lo sguardo lungo le onde poderose mentre, come una stupida, continuavano a tornarle in mente quegli occhi sinceri. Non c’era più tempo. 
«Voi state indietro» disse, tenendoli però ancora per mano. 
Fece un passo avanti, a un centimetro dal baratro. Un ciottolo precipitò nel buio e si inabissò. 
Franziska sentì gli occhi riempirsi di quella stessa acqua salata, come se per osmosi il mare tracimasse da lei. Le balenò in mente un pensiero terribile. Forse quell’osmosi doveva concludersi con un’unione? Forse non poteva reggere tutto quel peso da sola? Forse un salto, un volo meraviglioso…allentò la presa dai bambini e li lasciò dietro. 
Ebbe una tentazione tremenda. 
Poi tornò con lo sguardo sulla figlia e tornò a stringere loro le mani. 
«Mamma, va tutto bene?» chiese la figlia preoccupata sentendo tremare la madre che, dopo averle ripreso la mano, aveva cominciato a stringerla fortissimo fin quasi a farle male. 
«Sì, certo, va tutto bene» disse lei. 
Sentì risuonarle nella testa una vecchia canzone, una di quelle che piacevano a suo padre. La sentì dentro allo stesso modo di come aveva sentito dentro i suoi bambini prima che nascessero: 
Filo filo del mio cuore che dagli occhi porti al mare, c'è una lacrima nascosta che nessuno mi sa disegnare.
Nessuno, tranne uno. Non era poi poco.

Sorrise.


© Fabio Mele 2020
Rilascio il racconto con licenza CC BY-ND 3.0 IT:
Sei libero di condividere — riprodurre, distribuire, comunicare al pubblico, esporre in pubblico, rappresentare, eseguire e recitare questo materiale con qualsiasi mezzo e formato per qualsiasi fine, con obbligo di menzione di paternità dell'opera a mezzo link e divieto di distribuire questo materiale modificato.



Immagine 1: mamachat.org

Immagine 2: Pexels da Pixabay.


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