Maracanà - Racconto breve #9

aprile 23, 2021

In questi giorni, in cui una Superlega di calcio è nata e finita in 48 ore, si è detto da più parti che "il calcio è di tutti": il calcio è Moreno Torricelli che dal fare il falegname si ritrova in serie A e Jamie Vardy che da metalmeccanico si ritrova a vincere la Premier League. E' il Lecce retrocesso che batte la Roma all'Olimpico 2 a 3 negandole uno scudetto annunciato, il Vicenza contro il Chelsea in semifinale di Coppa delle Coppe, la Grecia che vince l'Europeo del 2004, il tifo di Paul Ashworth nel libro e nel film "Fever Pitch".

E' quello del mio nuovo racconto che potete leggere di seguito.

Maracanà

Nel grande spiazzo brullo, illuminato da quattro fari di luce bianca, sembrava essere ancora giorno. Disegnare le righe con il gessetto era parte del gioco: nonostante la terra battuta rendesse il compito non proprio agevole, Claudio traeva gusto da quel gesto che presagiva la trasposizione fisica del sogno. 

La sottile riga bianca prendeva vita tracciando un’area un po’ sghemba, ma idealmente perfetta. Chiuse il grande rettangolo calcando il gesso da palo a palo. Si sentiva in colpa per aver preso quel gessetto da scuola, ma gli pareva che dopotutto gli avesse donato nuova vita, una possibilità non prevista rispetto a quella di stridere su una lavagna, quasi un’inaspettata libertà. Lo consumò quindi con convinzione disegnando un’altra area più piccola, un dischetto bianco tra l’una e l’altra, una grande mezzaluna sul rettangolo più grande: ecco fatto.

Nicolò aveva realizzato l’altra area prima di lui e nel frattempo era rimasto a guardare il fratello, seduto sul pallone di cuoio nuovo di zecca, regalo di compleanno. 

L’occasione per inaugurarlo era propizia: una calda sera di giugno, nel parchetto sotto casa dove qualcuno prima di loro aveva piantato quattro assi di legno uniti da una traversa a disegnare due porte. 

Avevano preso due magliette bianche e ci avevano disegnato con un pennarello nero indelebile il numero sulle spalle: Claudio il 9 e Nicolò l’11. Avevano litigato per la 10, poi avevano convenuto che due compagni di squadra non potevano avere lo stesso numero e trovarono un accordo in base alla loro età.

Non appena Claudio finì la mezzaluna pulendosi le mani bianche sui pantaloncini, come sospinti dalla leggera brezza arrivarono gli sfidanti: due giganti dodicenni che erano pronti a farli a pezzettini. A scuola, avevano rubato la merenda a Claudio. Nicolò era intervenuto in sua difesa, ma Claudio dal basso dei suoi nove anni offrì loro una ghiotta possibilità: avrebbe dato la sua merenda ogni giorno per una settimana se avessero battuto a calcio lui e il fratello. Se invece avessero perso, gli avrebbero semplicemente restituito il maltolto di una sola merenda cedendola ai due fratelli.

- Ci siamo! – Disse Claudio con un’occhiata d’intesa a Nicolò, lasciando il pallone libero di rotolare sul campetto sconnesso.

I due avversari dall’alto della loro stazza irrisero i fratelli con lo sguardo, divertiti dal fatto che per una volta non l’avrebbero risolta a botte, o almeno non apertamente.

- Quello lo legno io, dopo che lo butto giù te la passo e tira forte – sussurrò il più massiccio dei due all’altro che annuì semplicemente.

Claudio sorrise mentre si avvicinava al centro col pallone: a botte non avrebbe avuto speranze, ora invece nonostante la differenza di età aveva modo di giocarsi delle carte.

Fermò la palla in quella che era idealmente la metà campo, rilanciando la sfida: 

- Come d’accordo, chi arriva prima a cinque gol vince.

- Ahah certo, non abbiamo bisogno di cambiare i patti!

Claudio guardò un attimo Nicolò che lo aveva raggiunto al suo fianco, quindi chiuse gli occhi. Poteva sentire quel vento sui capelli e - se si concentrava bene - avvertiva anche tutto il resto: il cronista stava elencando il suo nome nella formazione italiana, in attesa di sfidare il favorito Brasile alla finale dei Mondiali del 2030 che giocavano in casa loro. Lui aveva bruciato le tappe e a soli vent’anni si era preso la responsabilità di guidare la manovra d’attacco dell’Italia con l’obiettivo di mandare in gol gli attaccanti tra cui il fratello, più grande, ma meno talentuoso. Il nuovo futuristico Maracanà non faceva paura e quello stadio colorato gli metteva allegria nonostante fosse territorio avversario. I rocciosi difensori brasiliani erano duri, forti e alti, ma sapeva di poterli battere in rapidità di pensiero. In quei secondi con gli occhi chiusi, stava anche ripassando dei giochetti col pallone che aveva affinato in quattro anni di gioco quasi giornaliero e tutti i modi in cui avrebbe potuto servire Nicolò.

- Allora nanetto cominciamo? – Minacciò un avversario. 

Claudio rabbrividì e fu così riportato alla realtà.

Riaprì gli occhi con determinazione e non se lo fece ripetere due volte, toccò la palla per Nicolò che in men che non si dica gliela ripassò sulla sinistra. Così facendo, aveva messo fuori causa un avversario, ma non l’altro, il più grosso, che gli si fiondò addosso col chiaro intento di fargli male oltre che di prendere il pallone. 

Claudio non si perse d’animo e fece sparire il pallone sotto la suola, girandosi elegantemente e mandando il nemico letteralmente a sciare fuori dal campo. Corse fortissimo, ma l’altro aveva le gambe più lunghe e lo sentì incombere alle sue spalle, quindi la stoppò improvvisamente e con una rabona passò dall’altro lato al fratello che si trovò la porta vuota spalancata: gol. 

Fu solo la prima azione di una disfatta che peggiorò l’umore dei due aguzzini. Quella finale mondiale alternativa finì cinque a zero. Da quel momento, i due dodicenni non solo gli avrebbero restituito la merenda, ma avrebbero cominciato a diventare loro buoni amici.

- Hai visto? – disse Claudio a Nicolò quando, rimasti soli, prendevano fiato seduti sul marciapiede che delimitava lo spiazzo. 

- Cosa?

- Siamo campioni del mondo!

- Ahah ma che dici – disse Nicolò – neanche ci siamo quest’anno ai Mondiali!

- Ma non parlo di loro, dico noi, io e te, siamo campioni del mondo!

- Come no!

- Dico davvero, me lo ha detto anche lui dopo il quinto gol!

Indicò una figura adulta e brizzolata dall’altra parte del campo, che era rimasta a guardare la sfida e che si avvicinò loro applaudendo.

- Bravo Claudio, bravo Nicolò. Non preoccupatevi per questi Mondiali, sono certo che tra un po’ di tempo il nome “Italia” farà di nuovo paura! 

L’uomo si allontanò sorridendo, mentre altri ricordi affollarono i suoi pensieri. Si passò una mano dietro la nuca, ricordando qualcosa che una volta c’era e adesso non più. Fu certo che prima o poi sarebbe arrivato qualcun altro in maglietta azzurra, davanti a un altro Taffarel. E quel maledetto rigore non sarebbe finito in cielo, ma - al contrario – sarebbe passato sotto al portiere. Così, quel cielo non avrebbe più raccolto un altro pallone, ma solo accolto una nuova stella.

© Fabio Mele 2021

Rilascio il racconto con licenza CC BY-ND 3.0 IT:
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Immagine 1: Sasin Tipchai da Pixabay. 

Immagine2: Anne Kroiß da Pixabay.

Immagine 3: l3o_ da Flickr.

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